Mar. 2nd, 2019

 Per Gael era una gioia appiccare il fuoco. Da quando aveva scoperto il proprio potere, il soldato non faceva che immaginare cosa potesse distruggere. Forse quel palazzo là, pieno di pomposi bastardi che avvelenavano la Terra? Oppure quella fabbrica, piena di schiavi come lui? Erano tutti schiavi. Erano tutti schiavi di quel mondo orribile e deformato, generato dall'odio e dalla voglia di prevaricare sugli altri esseri umani. Quanto poteva essere caritatevole mettere fine a tutto questo? Poter incendiare il mondo intero, volerlo vedere bruciare era il suo unico desiderio. Il suo sangue scottava, pronto ad evocare le fiamme che lo avrebbero purgato da ogni malattia, da ogni parassita. Un incendio sarebbe bastato? Gael non era sicuro. Doveva diventare più forte, molto più forte per poter distruggere l'intero pianeta. Era quello che in fin dei conti gli serviva, no? Il potere di cancellare l'umanità e i suoi errori dal globo intero, ripulirlo come doveva. Aveva ormai accettato da tempo il suo ruolo in quel mondo corrotto: lui era il Grande Distruttore, colui che poteva ripulire attraverso la distruzione, attraverso il fuoco sacro e purificatore.
Ma doveva fare piano, piano. Doveva essere silenzioso, o lo avrebbero abbattuto prima del tempo. Non poteva fallire, non poteva. Cosa sarebbe successo altrimenti? Il governo avrebbe continuato con le sue politiche oppressive, pronto a schiacciare gli ultimi cuori. E lui non riusciva a capacitarsi di quel futuro segnato: si era preparato per una vita intera per quel ruolo a lui predestinato, datogli tra le mani da Lui, quel bardo profeta che aveva letto nel suo cuore ancora prima che nascesse. Aveva previsto tutto. Gli alieni, la droga, la guerra, le persone scomparse... e il suo futuro. Sì, lui che governava il fuoco, nato da un mutamento folle dei geni umani, ripieni di inquinamento e di sostanze chimiche immerse nel cibo e nell'acqua. Lui era stato intravisto da quel musicista indovino, e raccontato come il salvatore che avrebbe riportato il mondo su un giusto binario. Una morte degna, come un falò vichingo. Una fine per la Terra fatta di fuoco, un gigantesco falò che avrebbe annunciato al cosmo che l'umanità malata era andata. Non si sarebbero più dovuti preoccupare di ciò che stava accadendo lì, su quel piccolo pianeta. Perché sarebbe stato avvolto da fiamme bianche, da qualcosa che  avrebbe riportato la calma e liberato ogni anima. Attraverso il fuoco, l'umanità sarebbe tornata libera.
Ora doveva solo trovare il modo di liberare completamente il proprio potere: quando iniziare l'operazione? Da dove appiccare il primo falò? E sarebbe riuscito a portarlo fino alla fine, fino ad avvolgere tutto il globo nelle sue stesse fiamme? Non poter fare delle prove era frustrante. Poteva solo, lentamente, tentare qualche tugurio di cui nessuno si sarebbe preoccupato. Ma Gael non aveva mai neppure dato fuoco ad un'intera città. Come poteva sapere quanto il suo potere fosse ampio. Non doveva disperare. Non doveva preoccuparsi. Doveva solo fidarsi delle sue parole, del brano che Lui aveva scritto. Credere era necessario. Aveva mai sbagliato? No, neppure una volta. Nonostante la sua morte, Lui sapeva. E Gael doveva soltanto crederci.
 Mikitaka non riusciva a credere che fosse passato così tanto tempo. Da quando aveva trovato quell'equilibrio con quell'uomo aveva conosciuto la bellezza di una vita casalinga, tranquilla e fatta da una routine piacevole. Lui andava a scuola, l'altro andava a lavoro. Tornavano a casa, cenavano o pranzavano, stavano l'uno vicino all'altro, magari mentre uno leggeva o dormiva. Il cibo che veniva cucinato era sempre buono, e la casa sempre pulita. Mikitaka non riusciva davvero a credere di essere riuscito in una missione così difficile e complicata: quella di entrare nella casa e nel cuore di un uomo adulto, solitario, ma soprattutto un assassino.
Era difficile da spiegare il perché fosse finito in quella situazione. Josuke aveva convinto Kira a ritirarsi in cambio della vita, cosa che il secondo non aveva apprezzato per nulla. Ma era meglio ritirarsi e rimanere nell'ombra per un po', riflettendo su come muoversi in quella città improvvisamente piena di stand. Josuke aveva quindi cercato un modo per unire l'utile al dilettevole. Dare qualcuno di immortale in pasto a Kira, pur di tenerlo tranquillo e impedirgli di uccidere in maniera definitiva qualcuno della cittadina. Yoshikage non ne era affatto felice, ma l'altra possibilità era un dora in faccia. Così aveva accettato i tentativi andati a vuoto degli uomini del pilastro, carinissimi, per carità, ma decisamente troppo mascolini per i gusti del killer.
Che senso aveva cercare di uccidere un uomo millenario gigantesco e con delle mani così grandi e forti? Quando aveva aperto la porta, trovandosi Wamuu agghindato da ragazza adolescente, Yoshikage aveva lentamente richiuso la porta sussurrando un ringraziamento traumatizzato, consapevole di avere Killer Queen nascosta in cima ad un armadio spaventata. Come poteva credere quell'idiota di Josuke che potesse andargli bene un uomo di due metri e largo come un armadio? Non c'era alcuna possibilità che potesse sentirsi appagato dopo aver fatto pressapoco saltare in aria qualcuno di simile. E senza che se ne accorgesse, tra una visita e l'altra di un Santana che tentava di giocare con lui - la paura di essere pedinato da uno di quelli lo inseguì per molto tempo - arrivò quello strano ragazzo dai capelli chiarissimi e gli occhi verdi.
Mikitaka diceva di chiamarsi con un altro nome, in realtà. Diceva di essere un alieno venuto dalla Nube di Magellano, e di studiare la Terra per verificarne l'abitabilità per i suoi simili. Kira era rimasto lievemente sorpreso dall'eccentricità del giovane, e soprattutto dal modo incredibilmente naturale a cui si approcciava a lui. Sembrava non aver paura della morte che camminava al suo fianco, ascoltandolo parlare delle stelle.
Anzi, Mikitaka diceva di voler aiutare Josuke. Lui poteva farlo, aveva detto. In poco il suo corpo era mutato in fattezze più femminili, aveva offerto le proprie mani a Yoshikage. Delicate, femminili, affusolate o più forti. Mikitaka poteva offrirgli tutte le mani che voleva, tutte diverse, e perfino ridursi a solo il moncone che Kira amava tanto. Senza respiro, Yoshikage osservava la mano che teneva tra le dita, calda e mobile come in vita. La sua sorpresa, quando quella effettivamente si mosse, carezzandogli il palmo. Come le sue fidanzate, ma finalmente elegante, pronta a ricambiare il suo amore.
Quando si ritrovò senza fiato, a leccare quelle dita animate seduto sul pavimento, nella mente dell'assassino passò, improvviso e terribile, il pensiero che forse aveva trovato un surrogato lievemente soddisfacente. Non avrebbe mai fatto detonare l'alieno, ma avrebbe comunque ottenuto quelle mani che tanto desiderava. Una cosa tirava l'altra, e alla fine si era ritrovato incastrato in una vita casalinga, fatto dell'alieno mutaforma che esaudiva i suoi desideri più perversi e una benvenuta nuova calma nella sua vita tranquilla. Ora doveva solo sopportare le telefonate di Josuke, preoccupato della salute del suo amico. Ma era una cosa buffa: Mikitaka non sembrava per nulla conscio del pericolo. Come se non pensare alla morte potesse tenerla lontana...

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